Il mito della tomba di Archimede

di Claudio Gulli, 1 settembre 2024
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Stefano Graziani

Uno dei pittori che ha contribuito più di ogni altro ad avvicinarci agli antichi da un punto di vista che garantisce emozioni prima che pensieri è il tedesco Carl Anton Rottmann (1797-1853). Un suo olio che rappresenta la Tomba di Archimede scardina per esempio tutta la tradizione figurativa precedente, arrivando a risolvere un problema di identificazione che andava avanti da tempo immemore.


Dipinto di un paesaggio roccioso con antiche rovine e un cielo drammatico, raffigurante la presunta tomba di Archimede


Rottmann immagina un contesto quasi deserto, con una rovina abbandonata in un paesaggio, con a fianco solo una casetta e un contadino. Al sepolcro si accede da un portale che ha ancora un frontone retto da due colonne ma tutto sembra inghiottito da superfetazioni, vegetazione e nuvole. Con un’immediatezza sprezzante tutta romantica, l’artista immagina insomma quel che ormai non si poteva più affrontare armandosi solo della cassetta degli attrezzi del filologo. Erano secoli che eruditi e pittori fantasticavano sul tema. In primo luogo, per rappresentare Cicerone che ritrova la tomba di Archimede, ci si poteva basare su un passo preciso delle Tusculane (V, 23, 64-66). L’oratore di Arpino ricorda di aver scoperto il sepolcro – una colonnetta che era sormontata da una sfera e da un cilindro – sottraendola dai rovi e dall’oblio, nella necropoli di Siracusa che sorge fuori dalla porta agrigentina. Tommaso Fazello (1498-1570), prodigioso umanista domenicano di Sciacca, aveva rinunciato all’impresa:


«Di questa sepultura hoggi non pure non ce n’è vestigio alcuno, ma neanche si sa il luogo ove ella fusse».


Nel 1813, l’antiquario Giuseppe Maria Capodieci aveva prudentemente collegato le fonti di età romana con due colombari della Necropoli delle Groticelle, oggi all’interno del Parco Archeologico della Neapolis, che hanno un ingresso a edicola (Antichi monumenti di Siracusa, II, pp. 128-130). Era quanto bastava per inventare una tradizione, che arriva oltre il dipinto di Rotmann, fino all’epoca della fotografia.


Foto di Eugène Sevaistre nella presunta Tomba di Archimede


In età neoclassica, la scena della scoperta della tomba da parte di Cicerone attraeva anche più del possibile sito, da ricercare sfruttando le competenze di topografi e archeologi. Accade così di vedere cimentarsi sul tema grandi pittori come Pierre-Henri Valenciennes o Benjamin West. Il primo immerge la scena in un paesaggio ideale, dove la città coi suoi templi è adagiata nello sfondo e bagnata dal mare. Invece, in primo piano, fra tronchi spezzati e rupi scoscese emergono statue di divinità con altari ancora in funzione e, a destra, avviene la scoperta della tomba.


Un quadro di Pierre Henri de Valenciennes che mostra la scoperta della tomba di Archimede da parte di Cicerone


Benjamin West, pittore americano che in Europa va incontro a una certa fortuna, immagina invece i siracusani accorti davanti a Cicerone che turba i loro animi scoprendo il sepolcro del grande scienziato. Si erano dimenticati di lui: e ora toccava invece a una nuova generazione riscoprire i padri di mondi sepolti.


Un quadro di Benjamin West che mostra la scoperta della tomba di Archimede da parte di Cicerone


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