Il dipinto si trovava nella chiesa di Santa Maria Annunziata, quando un brillante ispettore del Museo Archeologico, il siracusano Enrico Mauceri, nel 1897, ne riconosce l’importanza. Paolo Orsi gli aveva affidato l’incarico di redigere un inventario delle opere di proprietà dello Stato nella chiese della provincia. Le opere di Antonello erano rare: collezionisti e musei di qua e di là dell’Atlantico stavano all’erta per non lasciarsi sfuggire nessuna occasione, i conoscitori aguzzavano la vista alla ricerca di nuove attribuzioni. Dopo qualche anno, nel 1902, uno studioso messinese di impareggiabile bravura nel lavoro di ricerca archivistica, Gaetano La Corte Cailler, pubblica il contratto firmato da Antonello e dal committente dell’opera, Giuliano Maniuni, nel 1474. C’era così anche una data, a chiarire in che momento del percorso del pittore inserire questo nuovo tassello.
Il dipinto però era in pessime condizioni di conservazione, venne così trasferito su tela dal migliore restauratore italiano del tempo, il milanese Luigi Cavenaghi, subito dopo l’acquisto da parte dello Stato, nel 1907. Da allora l’opera è stata costantemente sottoposta al più alto grado di attenzioni, con ulteriori passaggi, dal laboratorio di restauro degli Uffizi nel 1936 all’ultimo intervento all’Istituto Centrale del Restauro, nel 2005, prima della mostra di Antonello alle Scuderie del Quirinale, dove il dipinto figurava.
Un angelo che ha una testa talmente perfetta da sembrare di cristallo, coronata da due occhi saggi e una bocca umilmente aperta, sta sussurrando alla Madonna quasi una confidenza personale, un evento successo il giorno prima fuori da quella casa che affaccia sul fiume, dove si rema e si pesca. Lei rimane con gli occhi sul libro e si autorelega in un angolo, per fare spazio a quella terza, ben più sconvolgente presenza, che si vede nel quadro: la colonna, che più protagonista di così non potrebbe essere. Un quadro-manifesto, che dispiega la potenza delle ricerche spaziali già approfondite da Antonello e da un manipolo di convinti assertori, soprattutto in quel decennio, dell’attualità di solidi, geometrie e volumi in pittura. La centralità del guardare in prospettiva, serenamente, con una luce che scalfisce appena corpi costruiti con cure italiane ed eleganze spagnole non si poteva dichiarare con maggiore chiarezza.