Le Origini

di Fabio Granata, 20 gennaio 2025
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“Avete spesso sentito dire che Siracusa è la più grande città greca, e la più bella di tutte. La sua fama non è usurpata: occupa una posizione molto forte, e inoltre bellissima da qualsiasi direzione vi si arrivi, sia per terra che per mare, e possiede due porti quasi racchiusi e abbracciati dagli edifici della città. Questi porti hanno ingressi diversi, ma che si congiungono e confluiscono all'altra estremità. Nel punto di contatto, la parte della città chiamata l'isola, separata da un braccio di mare, è però riunita e collegata al resto da uno stretto ponte. La città è così grande da essere considerata come l'unione di quattro città, e grandissime: una di queste è la già ricordata "isola ", che, cinta dai due porti, si spinge fino all'apertura che dà accesso ad entrambi. Nell'isola è la reggia che appartenne a Ierone II, ora utilizzata dai pretori, e vi sono molti templi, tra i quali però i più importanti sono di gran lunga quello di Diana e quello di Minerva, ricco di opere d'arte prima dell'arrivo di Verre. All'estremità dell'isola è una sorgente di acqua dolce, chiamata Aretusa, di straordinaria abbondanza, ricolma di pesci, che sarebbe completamente ricoperta dal mare, se non lo impedisse una diga di pietra. L'altra città è chiamata Acradina, dove è un grandissimo Foro, bellissimi portici, un pritaneo ricco di opere d'arte, un'amplissima curia e un notevole tempio di Giove Olimpio; il resto della città, che è occupato da edifici privati, è diviso per tutta la sua lunghezza da una larga via, tagliata da molte vie trasversali.
La terza città, chiamata Tycha perché in essa era un antico tempio della Fortuna, contiene un amplissimo ginnasio e molti templi: si tratta di un quartiere molto ricercato e con molte abitazioni. La quarta viene chiamata Neapolis (città nuova), perché costruita per ultima: nella parte più alta di essa è un grandissimo teatro, e inoltre due importanti templi, di Cerere e di Libera, e la statua di Apollo chiamata Temenite, molto bella e grande, che Verre, se avesse potuto, non avrebbe esitato a portar via”.


Marco Tullio Cicerone disegna con queste celeberrime parole un ritratto immortale di Siracusa.


"Siracusa è un grande palinsesto, un sito ed uno spazio che il tempo e la storia hanno contribuito a costruire, distruggere, ricostruire e nascondere alla vista dei posteri”.


 “La riflessione sul passato di Siracusa passa attraverso la narrazione di una storia che ne evidenzi continuità e discontinuità, storia e cronache che si materializzano nei documenti del suo passato, nella sua iconografia e nelle sue cartografie, potenti veicoli dell'immaginario collettivo. Le immagini sono documenti nei quali si possono "leggere" le varie stagioni che hanno vissuto e trasformato l'antico sito greco, lasciando tracce portentose delle stratificazioni urbane e delle cangianti identità”. Queste le suggestive parole di L. Doufour, docente della Sorbonne e cittadina adottiva di Ortigia.


Siracusa è una colonia greca. Racconta Pausania che l'oracolo di Delfi, inviando Archia di Corinto a fondare Siracusa, avrebbe recitato questi versi per indicare ai coloni il sito della nuova patria:


 "Ortigia è là nel mare scuro immersa a guardia di Trinacria, dove Alfeo sfocia e si mesce all'acqua di Aretusa".


Siracusa Pantalica, foto ortigia


Secondo il mito la ninfa Aretusa per sfuggire ad Alfeo si era gettata nel mare e si era trasformata in una corrente marina. Alfeo, per inseguire e raggiungere l'amata, si mutò in fiume, sfociò in mare presso Olimpia e, attraversato il mare senza disperdersi e senza confondere le sue acque dolci con il salso marino, riuscì infine a congiungersi con Aretusa nel punto esatto in cui scaturisce la sorgente che in Ortigia porta il nome della fanciulla. La storia di Aretusa, la sua fortuna letteraria e iconografica, è strettamente collegata alla produzione mitopoietica di area magno-greca e cronologicamente si situa tra VI e V secolo.


La pulsione erotica del dio fiume che seguendo l'impeto d'amore attraversa il mare e raggiunge la Sicilia racconta la fondatrice dei coloni dorici che attraversano il mare per rifondare in una nuova Città il profilo greco della loro patria di origine: il mito trascrive così la migrazione vincente che porta la civiltà greca a fiorire in una sua altissima espressione proprio in Sicilia. Il viaggio da Olimpia a Siracusa, propiziato dal mito, ha quindi una straordinaria portata storica e culturale.


Madrepatria di Siracusa è Corinto, che sarà la grande dominatrice dei mari per tutta l’età arcaica. La sua vocazione alla colonizzazione e all’espansionismo oltre mare matura in età molto antica, al tempo in cui la Città è dominata dall’oligarchia della stirpe dei Bacchiadi. Muove allora i primi passi una nascente classe marinara e imprenditoriale, favorita nel suo decollo economico proprio dalla felicissima posizione geografica della Città che – già a partire dalla metà del secolo VIII – costituisce uno scalo primario e un punto di raccordo obbligato per tutte le merci in transito tra oriente e occidente. Corinto ha, infatti, due grandi porti – il Lecheo e Kenchre – che si affacciano, rispettivamente, sui golfi Corinzio e Saronico. Porti che col tempo saranno collegati tra loro, via terra da un binario di legni, da un díolkos, che permetterà alle navi di venire trasbordate da mare a mare per tutta la lunghezza dell’Istmo.


Come ci ricorda Lorenzo Braccesi:


"Non meraviglia quindi che Corinto riesca ad estendere così il suo raggio di azione in aree lontane, soprattutto verso occidente. Dove fonda presso la costa epirota e in Sicilia le potenti colonie di Corcira e di Siracusa, a loro volta destinate a divenire metropoli di ulteriori stanziamenti. Soppianta, in breve, il primato espansionistico delle stesse metropoli dell’Eubea e la spinta alla colonizzazione la trasforma in una città dove fiorisce un’industria ceramica destinata all’esportazione in cambio di materie prime e di schiavi. In una città dove sorgono cantieri capaci – con soluzioni tecniche all’avanguardia – di varare le prime triremi del mondo ellenico che, a dire di Tucidide, furono costruite da un genio della cantieristica navale, Aminocle di Corinto e poco avevano da invidiare a quelle dei secoli successivi. Le Triremi erano imbarcazioni leggere con propulsione assicurata da tre file di rematori in aggiunta alla consueta e poco maneggevole vela rettangolare. Erano armate di un rostro, con sperone in legno rivestito di bronzo, e l’ingombro laterale raddoppiava, accrescendone la stabilità, con i remi protesi fuori bordo. Di fatto esse costituiscono per secoli l’imbarcazione principe di tutte le flotte del Mediterraneo: non soltanto elleniche, ma anche fenice, cartaginesi, lidie e carie.”


Siracusa fu quindi fondata da Archias, nel 734 a.c., venuto da Corinto, pressapoco nello stesso periodo in cui furono fondate Nasso e Megara. Si racconta che Miscello e Archias si recarono insieme a Delfi: a entrambi, che lo interrogavano, il dio chiese se preferissero la ricchezza o la salute; Archias scelse la ricchezza, Miscello la salute. Allora all’uno concesse di fondare Siracusa e all’altro Crotone. Avvenne così che i Crotoniati abitassero una città salubre e i Siracusani giungessero a tanta ricchezza. Navigando verso la Sicilia, Archias approdò al Capo Zefirio e “incontrativi alcuni Dori lì giunti mentre tornavano a casa dalla Sicilia, dopo essersi separati dai fondatori di Megara [Iblea], li prese con sé e insieme a loro fondò Siracusa"...


Archias (Ἀρχ́ιας) è un nome parlante che parrebbe denunziare il ruolo di ‘guida’, o il destino di archegeta, del personaggio, nonché la sua origine aristocratica.


La più antica fondazione di Siracusa interessa esclusivamente l’isola di Ortigia, dotata di un’abbondantissima fonte di acqua dolce e di ben due approdi, destinati, con il tempo, a divenire munitissimi porti sia militari sia commerciali. Soprattutto quando l’isola – come ricorda Tucidide – sarà congiunta alla costa da un molo artificiale che li viene ancora più a delimitare. In seguito, divenendo sempre più popolosa, Siracusa non “più circondata dall’acqua” si estende anche sulla vicina terraferma, occupando il tavolato triangolare di Epipoli dove sorgeranno i suoi quartieri più popolosi.


Nel V secolo fiorisce in Sicilia la "tirannia" di Ierone: la corte del principe è un centro di magnificenza e di cultura, i grandi mezzi economici promuovono la fioritura architettonica di città e di templi, la sua potenza militare contrasta sul mare l'egemonia fenicia di Cartagine, facendo di Siracusa il baluardo della grecità d'Occidente. A Siracusa viene costruito un Teatro più imponente del teatro di Dioniso di Atene, e per quel teatro Eschilo stesso, il più grande tragediografo del tempo, viene dalla madrepatria a mettere in scena le sue tragedie. Ancora nell'ultimo quarto del V secolo, nel corso delle lotte tra le Città greche a cui Tucidide dà il nome di Guerra del Peloponneso, Siracusa infligge all'esercito ateniese una secca sconfitta che contribuisce all'esito definitivo dell'egemonia ateniese.


Agli inizi del secolo successivo Siracusa ha un altro periodo di splendore sotto il principato di Dionigi II: a testimoniare la potenza della Città sono i resti monumentali di Castello Eurialo, l'unica fortezza greca di queste proporzioni che si sia conservata in tutta l'area del mediterraneo.


Ospite alla corte di Dionigi è Platone, e proprio al periodo siracusano, nella ricostruzione della cronologia interna delle opere platoniche, si pone la Repubblica, il dialogo sull'utopia dello Stato Ideale e dei re-filosofi. Nel libro X della Repubblica, Platone racconta anche un "mito", un racconto figurato, destinato a dare l'impronta a tutta la metafisica della tradizione occidentale. è il "mito della caverna", secondo il quale i mortali stanno, senza averne consapevolezza, incatenati nel fondo di un cunicolo, rivolti a vedere solo immagini riflesse proiettate su una parete dalle loro spalle. Solo il sapiente-filosofo prende coscienza della condizione di prigionia, si libera dalle catene e, con molta fatica risale verso il Sole della Verità, esponendosi al rischio di venirne abbagliato. L'ambientazione del "mito della caverna" potrebbe essere stata suggestionata dalle penombre ctonie dei cunicoli degli ipogei che corrono sotto Ortigia, nel cuore della Città.


E fino alla metà del IV secolo sulle monete siracusane compare come simbolo della città il profilo della ninfa Aretusa, con delfini che guizzano tra le ciocche dei suoi capelli.


Anche nel periodo di massimo splendore, in cui la fiorente città siciliana prevale anche sulle potenze della madrepatria ormai in declino, i principi di Siracusa riaffermano, con l'allusione mitica alla ninfa amata da Alfeo, la radice fluttuante e mobile della civiltà greca unita da una sponda all'altra del Mediterraneo dall'acqua del mare.


Fernand Braudel sulla essenza greca di Siracusa in un suo visionario scritto, pone un affascinate quanto incapacitante interrogativo: “che cosa sarebbe "avvenuto dell'Italia se Alessandro, trascurando l'Asia, avesse diretto la sua spedizione contro l'Occidente?" A una domanda come questa si risponderà sempre che è inutile rifare la storia.


Ma non resistiamo alla tentazione di immaginare Siracusa che, con Alessandro, sarebbe diventata la metropoli del mare Interno, di un impero greco vincitore allo stesso tempo di Roma e di Cartagine, allargando fino a noi, occidentali, un ellenismo diretto, senza l'intermediazione e il filtro di Roma. Una guerra che non ha avuto luogo è comunque una guerra persa. La grandezza del mare Interno, già a quell'epoca, si gioca, che lo si voglia o no, nel luogo che fa da cerniera tra i due Mediterranei.


La Sicilia è un'altra Grecia, e Siracusa, nel V secolo, al colmo del suo splendore si propone come una seconda, magnifica, Atene, che non ha niente da invidiare alla capitale culturale della madrepatria.


La Sicilia, Siracusa, nel tempo delle origini si pensa come Grecia d'Occidente: ma questa valenza greca, e l'importanza politica e culturale delle potenti città stato siciliane nel V e nel IV secolo a.C., non è pienamente percepita nella sensibilità contemporanea, e spesso e misconosciuta anche dai potenziali viaggiatori colti.


Se il viaggio in Grecia è, a tutt'oggi, una tappa fondamentale nella formazione culturale ed estetica dell'individuo europeo, le migliaia di giovani e di viaggiatori che affollano i siti storico-archeologici della Grecia raramente cercano poi in Sicilia la seconda, necessaria, tappa del loro viaggio di formazione, collegando le due esperienze. Siracusa è stata dunque in età classica l'epicentro culturale della Sicilia, ma la sua storia non finisce qui.


Nel cuore di Ortigia sorge il Duomo della Città; si accede mediante una facciata barocca che però si scopre presto che è soltanto un prospetto illusorio che contiene un tesoro, un'altra meraviglia: la chiesa, una delle prime basiliche dell'era cristiana, fu edificata nel V secolo d.C. sul tempio dorico dedicato mille anni prima alla dea della Città, Atena. E dietro alla facciata settecentesca si trova il Tempio greco mirabilmente integro: la risemantizzazione cristiana salva dalla distruzione e dall'oblio l'architettura pagana e la consegna alla tradizione ridando nuova vita alla sacralità del luogo antico. Il riuso del tempio di Siracusa è un esempio straordinario del meccanismo di riuso materiale e simbolico che, nei primi secoli della nostra era, decide della vittoria del Cristianesimo, e sul quale grandi studiosi europei come Dumezil e Mircea Elide hanno scritto pagine memorabili: le funzioni protettive e di difesa dell'antica Atena-pallàdion si trasferiscono, a partire dal V secolo d.C., alle immagini di Maria e dei Santi protettori delle città.


E se il tempio più importante di Ortigia era dedicato ad Atena, la dea dallo sguardo lucente che vigila e protegge la Città, intorno alla vergine Lucia, martirizzata nel 303 d.C. sorge la leggenda degli occhi luminosi della santa, strappati secondo la tradizione prima del martirio. Santa Lucia sostituisce così puntualmente alla dea pagana nella funzione di pallàdion, talismano e simulacro protettivo della Città.


Siracusa che era stata in passato "l'Atene d'Occidente", in età medievale, nei secoli in cui Roma sprofonda nel degrado e nell'oblio, viene insignita del titolo di capitale occidentale dell'Impero Bizantino. Tra X e XI secolo si conferma a Siracusa il ruolo di città ponte tra Oriente e Occidente ma si riafferma anche, con questa ulteriore dislocazione della prospettiva, ora centrata su Costantinopoli, il carattere erratico della Identità siciliana.  A Siracusa viene restituita centralità e riacquista nuovamente un'importanza capitale nel XIII secolo.


Federico II trova infatti nella topografia della Città sospesa tra terra e mare, tra nord e sud, tra Oriente e Occidente, un centro ideale del suo progetto imperiale in cui si rilancia una nuova idea geopolitica che ha il suo fulcro nel Mediterraneo e incrocia proficuamente la tradizione classica ed europea con la sapienza tecnica, letteraria, artistica e filosofica – della sponda araba. E Siracusa divenne nuovamente, come era stato ai tempi dei "tiranni" greci, la sede di una corte in cui politica e diritto si traducono in istanza estetica di altissimo profilo e danno vita ad uno straordinario, quanto effimero, experimentum mundi.


Nel Rinascimento inaugurato da Federico due secoli in anticipo rispetto al XV secolo, giuristi, architetti, poeti e trovadori, filosofi e artisti, concorrono a costruire un progetto di mondo che invera la fantasia politica dell'Imperatore: traducono in versi, in leggi, in pietra e in musica l'intuizione rivoluzionaria dello Stupor Mundi. Il segno forte e lucente dell'impronta federiciana è ancora visibile nelle linee potenti e aggraziate, negli spazi armoniosi, nei giochi di luce e di ombra del Castello Maniace, posto sul promontorio a baluardo del lato sud di Siracusa.


L'ultima stagione in cui Siracusa è protagonista è il secolo del Barocco: tra XVII e XVIII secolo, a seguito di una delle tante catastrofi che costellano la storia della Sicilia e ricordano la natura inquieta e vulcanica di questa terra, Siracusa e la sua provincia si trovano nuovamente al centro di un grande esperimento di rinascita artistica e culturale.


Il segno del barocco chiama la materia a corrispondere a un pensiero filosofico di inaudita intensità, a tradurre in forme le idee di presenza e assenza, di essere e di divenire, di forma e di evento; ma quello stile in questa terra si impasta con i colori caldi delle pietre, viene a patti con la morbidezza dei materiali, cede alla dolcezza delle forme che portano l'eredità di una lunga tradizione di mediazione. E anziché forme astruse, algide, stranianti, eccessive, la cifra stilistica del tardo barocco siciliano è caldo e accattivante: grazia e non gravità e al posto della densità la sapiente leggerezza che segna il volto barocco delle Città del sud est.

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